Mi dicesti:
“È bello”.
“Che cosa?”.
“I capelli, son vivi, non te li tagliare”.
Ruppi allora le forbici, li lasciai allungare, arrivarono al collo e alle spalle e dalla spalle alla vita, dalla vita ai polpacci, ai talloni, alla terra, dalla terra ai torrenti, ai fiumi in cascata fin verso la foce, dove l’acqua da dolce si tuffa nel sale e lì, che onda nell’onda, i ricci divennero ricci di mare. E questo l’ho fatto per farti restare.
Mi dicesti:
“È bello”
“Che cosa?”.
“Le mani, son farfalle allo sbando, svolazzano al ritmo con cui stai parlando”.
Fu quel giorno che imparai il linguaggio dei sogni, traducevo in diretta per i non dormienti. Entrai in un’air band e accordai i miei strumenti. Mi misi a dirigere orchestre inventate e poi il traffico urbano in punta di dita. Formai code ed ingorghi, non si poteva più uscire né entrare. E questo l’ho fatto per farti restare.
Mi dicesti.
“È bello”.
“Che cosa?”.
“I posti in cui viaggi quando dormi, la notte. Mi piace ascoltarti di ritorno, al mattino”.
Cominciai a dormire con grande attenzione, per segnarmi i dettagli e variare il copione. Cambiavo scenari, volevo stupirti con effetti speciali. Con trame intricate e personaggi da amare. E anche questo l’ho fatto per farti restare.
Mi dicesti:
“È bello”.
“Che cosa?”.
“Il tuo sguardo, ogni tanto si perde e quando si perde mi viene a cercare”.
Lo allenai a guardare di notte come le civette, come le mie gatte. Si fece più forte, sbattendo le ciglia sbattevo le porte, con gli occhi spostavo gli oggetti, una piuma, una foglia, poi una bottiglia. Vedevo attraverso i vestiti, i muri, le case, ti spogliavo con gli occhi, imparai a distanza ad ipnotizzare. E anche questo l’ho fatto per farti restare.
Mi dicesti:
“È bello”.
“Che cosa?”.
“Dal bagno, sentirti cantare”.
Imparai ninne nanne da ogni parte del mondo. Conoscevo canzoni per ogni tipo di fame, che toglievano l’ansia, che saziavano il cuore, che ti veniva anche voglia di fare l’amore. Ebbi grandi maestre, le sirene del mare. E anche questo lo feci per farti restare.
Mi dicesti:
“È bello”.
“Che cosa?”.
“Le spalle, il sedere, quando vai, ti allontani”.
Un piede e poi un altro, impettita, mi misi in cammino, divenni un miraggio, un’ombra, un puntino. E alla fine più niente, una stella cadente. Poi persi la strada per ritornare. E anche questo lo feci per farti restare.
Enrica Tesio
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